Nella pratica non è infrequente il caso in cui venga emesso un avviso di accertamento per un reddito imponibile non dichiarato costituito dall’emissione di una fattura (si deve comunque trattare di importi di una certa rilevanza).
Nella prassi il contribuente sostiene che si tratta di una fattura insoluta, mai saldata e quindi chiede l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato sulla base della considerazione che vanno sottoposti a tassazione i redditi percepiti e non quelli che non sono stati percepiti.
La giurisprudenza in realtà ritiene che tale semplice asserzione non sia sufficiente per ottenere il risultato invocato e ciò in ragione del fatto che se è vero che la fattura può essere emesse prima del pagamento e restare insoluta, il giudice comunque attribuisce al contribuente l’onere di provare il mancato pagamento.
Come può allora il contribuente assolvere tale onere? Può farlo solo attraverso la produzione di missive di sollecito di pagamento, di ricorsi per ingiunzione promossi avanti l’A.G. ovvero con la produzione di tutta la documentazione afferente a quelle attività che di regola un imprenditore od un professionista svolge per recuperare un suo credito.
Se tale onere non è assolto il giudice tributario rigetta l’impugnazione evidenziando che la fattura viene emessa al momento del pagamento della prestazione e quindi deve presumersi che la stessa è stata pagata.
Si tratta della c.d. presunzione di incasso della fattura e tale presunzione è collegata alla disciplina dell’IVA secondo cui la fattura deve essere per l’appunto emessa al momento del pagamento della prestazione. A ciò si aggiunga il fatto che una volta emessa la fattura, sorge il diritto alla detrazione dell’imposta, indipendentemente dall’avvenuto pagamento del corrispettivo (Cass.6793/2020).