La legge n.67/2014, traendo ispirazione da istituti di matrice anglosassone,ha introdotto nel nostro ordinamento la messa alla prova, quale ulteriore strumento di deflazione processuale e di alleggerimento della gravosa situazione carceraria, imposta anche dalla Corte Edu con la condanna inflitta all’Italia nel caso Torreggiani c. Italia. L’istituto prevede che – in relazione ai procedimenti per i reati meno gravi ed in presenza di talune condizioni- sia data la possibilità all’imputato che lo richieda di evitare la celebrazione del processo e di essere sottoposto ad un trattamento rieducativo con lo svolgimento di attività socialmente utili e l’attuazione di condotte riparatorie. L’accesso all’istituto presuppone da un lato la verifica del giudice circa la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dal legislatore e l’idoneità del trattamento proposto, dall’altro la prognosi che il soggetto si asterrà per il futuro da commettere ulteriori reati, dunque l’assenza di pericolosità sociale. La messa alla prova implica quindi la sottoposizione del soggetto a specifici obblighi e prescrizioni; per un verso prevede l’affidamento al servizio sociale per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità che assume la duplice valenza rieducativa e sanzionatoria; per altro verso impone la prestazione di condotte riparatorie e restitutorie al fine di eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato. e ove possibile di prestare il risarcimento del danno cagionato alla parte offesa.
In tema di reati tributari, gli stessi non sono esclusi dalla messa alla prova e per questo motivo per i reati puniti con una pena detentiva inferiore a 4 anni è possibile accedere all’istituto della messa alla prova (a titolo esemplificativo nulla quaestio per il reato di dichiarazione infedele, per l’omesso versamento delle ritenute). Per i reati più gravi previsti dal D.lvo 74/2000 è preclusa,invece,la possibilità di accedere all’istituto in parola.
Resta infine aperta la questione del risarcimento del danno erariale, tenendo comunque presente che la Cassazione è pervenuta alla conclusione che la sospensione del procedimento non può essere subordinata all’integrale risarcimento del danno, la cui doverosità dipende dalla specificità del caso concreto (Cass.Pen. n. 5784/2018).